Bokeh è un termine in uso dalla seconda metà degli anni ’90 dello scorso secolo. A diffonderne l’uso, con questa pronuncia, fu Mike Johnston, curatore editoriale della pubblicazione americana Photo Techniques. E’, in sostanza, un termine che, come sanno bene i nostri allievi del Corso CREATIVE VIDEOMAKING & DIGITAL MEDIA, viene utilizzato per indicare le aree non a fuoco di un immagine, oltre che la qualità estetica della sfocatura stessa.

Il concetto di Bokeh è direttamente connesso a quello di profondità di campo, ovvero con la zona immediatamente prima e dopo il soggetto inquadrato in cui gli oggetti nell’immagine appaiono ancora sufficientemente riconoscibili, a fuoco, nonostante il piano a fuoco sia uno soltanto.

Ovviamente, con il termine Bokeh, si identifica anche la tecnica che permette di sfocare le zone che non sono collocate nel primo piano dell’immagine. L’effetto “sfocato”, infatti, si ottiene ricorrendo a un basso rapporto focale. Per effetto della loro costruzione fisica, le ottiche che riproducono un buon effetto sono i teleobiettivi e le ottiche per la macrofotografia.

Anche utilizzando obiettivi non lunghissimi, definiti “medio tele”, ovvero ottiche con lunghezza focale compresa all’incirca tra gli 80mm e i 150mm, l’effetto Bokeh trova una resa ottimale. Queste ottiche, infatti, sono spesso utilizzate per i ritratti dove, per far risaltare maggiormente il soggetto inquadrato, si minimizza la profondità di campo.

Per capirci, la profondità di campo, indica l’estensione del campo entro cui un soggetto può essere riprodotto a fuoco. Lo spazio a fuoco, cioè, immediatamente prima e dopo il soggetto inquadrato. Regolando l’obiettivo su una determinata distanza, si osserverà l’esistenza di uno spazio, anteriormente e posteriormente al soggetto inquadrato, entro cui tutti gli oggetti presentano una definizione ancora accettabile.

Pertanto, la profondità di campo varia in funzione del Diaframma e della focale. Se il campo di profondità è troppo ridotto, si ha un effetto di messa a fuoco selettiva, ovvero solo una ristretta zona dell’immagine risulterà allora perfettamente nitida. Qualora invece gli oggetti pur situati a diversissime distanze dalla cinepresa risultino tutti a fuoco, parleremo di messa a fuoco in profondità.

Va da sé, quindi, che l’effetto Bokeh può essere usato in modo espressivo e narrativo. Vi sono non pochi casi, infatti, in cui il soggetto è più interessante se isolato dal contesto. Un volto nella folla, per esempio, o un fiore in una fitta vegetazione di un giardino. Però, creare immagini con un effetto Bokeh in grado di trasmettere un senso artistico, narrativo, richiede pratica. Se ben realizzato, comunque, questo effetto aumenterà l’impatto estetico delle immagini.

Di base, quindi, i possibili utilizzi dell’effetto Bokeh sono relativi al far risaltare il soggetto principale; al nascondere uno sfondo poco interessante o non bellissimo; al guidare l’occhio e, quindi, l’attenzione di chi osserva l’immagine verso uno specifico punto di interesse; al poter aggiungere un tocco di poesia soprattutto se lo si realizza con le luci sul fondo.

Ma come si può, quindi, ridurre la profondità di campo? Possiamo agire in modi diversi: si può impiegare una focale più lunga, allontanando la cinepresa dal soggetto; si può aprire il diaframma, se le condizioni lo permettono; si può ridurre l’illuminazione, se si è in interni, lavorando a diaframma molto aperto, se non completamente aperto.

Quindi, maggiore è l’apertura del diaframma, più ridotta è la profondità di campo. Più è chiuso il diaframma, maggiore è la profondità di campo. La Profondità di Campo è, invece, legata all’ottica secondo questi criteri: più lunga è la focale dell’obiettivo, minore è la profondità di campo. Minore è la focale dell’obiettivo, maggiore è la profondità di campo.

Sembrerebbe quindi indifferente, per ottenere la stessa distanza apparente, spostare la Macchina da presa oppure inserire un obiettivo con focale più lunga, ma le cose non stanno così: in proiezione i risultati saranno diversi. Provare per credere.